Volontariato di Protezione Civile
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Storia della Protezione Civile in Italia.
La genesi e lo sviluppo della protezione civile in Italia sono profondamente connessi alle emergenze che hanno colpito il Paese nel corso della sua storia.
Eventi catastrofici come terremoti e alluvioni hanno lasciato un segno indelebile, contribuendo a formare una consapevolezza collettiva riguardo alla protezione civile e alla salvaguardia della vita e dell'ambiente. Questo ha portato alla creazione di un Sistema di Protezione Civile capace di rispondere prontamente alle situazioni di crisi, attuando misure di previsione e prevenzione. Nella fase immediatamente successiva a un grande disastro, le innovazioni e le decisioni vengono spesso influenzate dall'intenso clima emotivo che coinvolge sia l'opinione pubblica che le istituzioni.
Il concetto di protezione civile, inteso come manifestazione di solidarietà, cooperazione e responsabilità civica, affonda le sue radici in un passato lontano. La storia è testimone di organizzazioni di volontariato e di aiuto che si sono attivate in risposta a gravi emergenze, risalendo agli ordini religiosi medievali e alle prime associazioni laiche, come le Misericordie fondate a Firenze tra il XIII e il XIV secolo, o i Vigili del Fuoco, attivi da secoli nelle valli alpine.
Prima dell'Unità d'Italia, l'organizzazione dei soccorsi variava da stato a stato. In caso di grandi calamità, come il terremoto della Val di Noto nel 1693 e quello in Calabria nel 1783, le autorità centrali designavano un commissario con poteri straordinari. A livello legislativo, esistevano già norme antisismiche nello Stato Pontificio, nel Regno delle Due Sicilie e nel Ducato di Mantova, dove Pirro Logorio progettò la prima casa antisismica del mondo occidentale. Mentre esplorava le rovine di Ferrara, devastata dal terremoto del 1570, l'architetto comprese l'importanza di edifici solidi e della sicurezza abitativa.
Con l'Unità d'Italia, entrò in vigore lo Statuto Albertino, adottato dal Regno di Sardegna nel 1848. Poiché Piemonte e Sardegna non sono regioni sismiche per la loro geologia, le norme edilizie antisismiche furono abolite in tutti gli stati annessi al Piemonte. Tuttavia, nel nuovo ordinamento unitario, rimase la tradizione ingegneristica idraulica sviluppata nel nord per il controllo dei fiumi.
L'assistenza alle popolazioni colpite da calamità non era considerata una priorità per lo Stato; il soccorso era visto come un atto di generosità pubblica, e gli interventi militari, che costituivano la spina dorsale dei soccorsi, erano considerati opere di beneficenza. Durante l'alluvione di Roma nel dicembre 1870, furono le truppe dell'esercito, che due mesi prima avevano conquistato la città (in seguito alla Breccia di Porta Pia), a offrire per prime aiuto.
Il quadro normativo post-unitario risultava frammentato e poco sistematico, limitandosi a prevedere interventi in situazioni specifiche di emergenza o per materie particolari. I provvedimenti urgenti adottati per affrontare le emergenze si basavano sul potere d'ordinanza conferito all'autorità amministrativa dalla legge n. 2359 del 25 giugno 1865. Prefetti e sindaci avevano la facoltà di disporre della proprietà privata in caso di rottura degli argini, crollo di ponti e in generale in tutte le situazioni di emergenza.
In caso di calamità, venivano mobilitati l'Esercito e le Forze dell'Ordine, i primi a giungere sul luogo del disastro. Il processo di gestione delle emergenze era rigido e codificato, avviandosi solo quando la notizia del disastro giungeva ufficialmente al Presidente del Consiglio, che fungeva anche da Ministro dell'Interno. Le emergenze venivano considerate nazionali solo se colpivano obiettivi strategici per la viabilità e le infrastrutture di pubblica utilità.
La prima legge riguardante il soccorso è il Rdl n. 1915 del 2 settembre 1919, che stabilisce un primo quadro normativo per i servizi di pronto intervento in caso di calamità naturali, limitandosi però ai terremoti. Il Ministero dei Lavori Pubblici assume il ruolo di autorità responsabile per la direzione e il coordinamento dei soccorsi, sotto la supervisione delle autorità civili, militari e locali.
È solo nel 1925 che si ha una normativa più organica in materia di protezione civile: la Legge n. 473 del 17 aprile identifica il Ministero dei Lavori Pubblici e il Genio Civile come gli organi principali per il soccorso, in collaborazione con le strutture sanitarie.
Il Rdl n. 2389 del 9 dicembre 1926, successivamente convertito nella legge n. 833 del 15 marzo 1928, approfondisce ulteriormente l'organizzazione dei soccorsi, confermando la responsabilità del Ministero dei Lavori Pubblici nel dirigere e coordinare le operazioni anche delle altre amministrazioni e enti statali, come i Vigili del Fuoco, le Ferrovie dello Stato e la Croce Rossa. I soccorsi non si limitano più solo ai "disastri tellurici", ma si estendono anche a quelli di "altra natura".
Fino all'arrivo del Ministro dei Lavori Pubblici o del Sottosegretario di Stato sul luogo del disastro, tutte le autorità civili e militari sono subordinate al Prefetto, che rappresenta il governo a livello provinciale e coordina i primi interventi. I sindaci, a loro volta, hanno il compito di inviare immediatamente i Vigili del Fuoco e il personale disponibile sul posto, informando prontamente il Prefetto. Il Genio Civile si occupa del coordinamento delle operazioni di soccorso e delle rimozioni delle macerie, coinvolgendo anche l'Aeronautica, l'Esercito, il Ministero delle Comunicazioni e la Croce Rossa Italiana.
L'alluvione di Firenze del 1966, la prima emergenza seguita dai media internazionali, mette in luce le carenze della struttura centrale dei soccorsi. A causa della mancanza di una rete di monitoraggio, l'esondazione dell'Arno non viene anticipata, sorprendendo i cittadini. Nei primi giorni, gli aiuti provengono quasi esclusivamente dai volontari, noti come "angeli del fango", e dalle truppe presenti in città. Solo sei giorni dopo l'alluvione il governo riesce a organizzare una rete di soccorso. Anche il terremoto del Belice nel 1968, che causa 236 morti, evidenzia un fallimento nella gestione dell'emergenza, dovuto alla mancanza di coordinamento tra le forze coinvolte. Le scelte per la ricostruzione si rivelano errate, con la popolazione incentivata ad allontanarsi dai centri storici colpiti e la creazione di nuovi insediamenti che non rispettano le tradizioni locali.
La svolta avviene con la legge n. 996 dell'8 dicembre 1970, che rappresenta la prima legge organica in materia di protezione civile, intitolata “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione Civile”.
La direzione e il coordinamento delle attività passano dal Ministero dei Lavori Pubblici al Ministero dell'Interno, con la nomina di un commissario per le emergenze, che dirige e coordina i soccorsi sul campo. Per assistere la popolazione dalla prima emergenza fino al ritorno alla normalità, vengono istituiti i Centri Assistenziali di Pronto Intervento (CAPI). Inoltre, per migliorare il coordinamento tra i vari ministeri, viene creato il Comitato Interministeriale della Protezione Civile.
Per la prima volta, viene riconosciuto il ruolo del volontariato nella protezione civile: il Ministero dell'Interno, attraverso i Vigili del Fuoco, si occupa di formare, addestrare ed equipaggiare i cittadini che offrono il loro aiuto volontario. Due devastanti terremoti colpiscono il Friuli nel 1976 e la Campania nel 1980, causando numerose vittime. Sebbene i primi giorni siano caratterizzati da lentezza nei soccorsi e mancanza di coordinamento, la gestione dell'emergenza si differenzia notevolmente tra i due eventi.
In Friuli Venezia Giulia, il governo regionale e i sindaci dei comuni colpiti vengono coinvolti fin da subito, collaborando strettamente con il Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti. Per la prima volta, vengono istituiti i “centri operativi”, con l’obiettivo di creare un organismo direttivo in ciascun comune della zona colpita, composto da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e private, presieduto dal sindaco. Questo organismo ha il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, avendo una conoscenza diretta delle caratteristiche del territorio e delle sue risorse. Anche nella fase di ricostruzione, ai sindaci viene conferito un potere decisionale per garantire un controllo diretto sul territorio, facendo sentire le istituzioni più vicine ai cittadini. La popolazione partecipa attivamente alla ricostruzione del tessuto sociale e urbano secondo il “modello Friuli”, che mira a ripristinare le aree colpite “com’era, dov’era”, completando il processo in poco più di 15 anni.
Al contrario, la gestione dell’emergenza dopo il terremoto dell’Irpinia si rivela disastrosa, sia nelle prime ore dopo il sisma sia nella successiva fase di ricostruzione. I primi soccorsi sono caratterizzati da una totale mancanza di coordinamento: volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano in modo spontaneo, senza indicazioni chiare e obiettivi operativi forniti dal Ministero dell'Interno. Dopo i tre giorni di caos iniziale, il governo interviene nominando nuovamente Giuseppe Zamberletti come Commissario straordinario, il quale riesce a riorganizzare i soccorsi e a stabilire un dialogo con i sindaci.
Queste catastrofi mettono in evidenza i limiti del sistema di soccorsi esistente. Si inizia a considerare la protezione civile non solo come un insieme di interventi di soccorso, ma anche come un approccio che include la previsione e la prevenzione delle emergenze. Questo cambiamento di paradigma segna un passo importante verso una gestione più integrata e proattiva delle situazioni di crisi, ponendo l'accento sulla necessità di preparazione e pianificazione per affrontare le calamità in modo più efficace.
Nel 1982 viene istituita la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile (legge n. 938 del 1982), che funge da “commissario permanente” pronto a intervenire in caso di emergenze. Questo approccio evita la necessità di nominare un commissario ogni volta e di creare una nuova struttura organizzativa. Il Ministro si avvale del Dipartimento della Protezione Civile, anch'esso istituito nel 1982 sotto la Presidenza del Consiglio (con Ordine di Servizio del 29 aprile). Invece di creare un ministero con una burocrazia complessa, si opta per un organismo snello e sovra-ministeriale, capace di coordinare tutte le risorse disponibili nel Paese.
Il Dipartimento della Protezione Civile ha il compito di raccogliere dati e informazioni sulla previsione e prevenzione delle emergenze, di attuare i piani nazionali e territoriali di protezione civile, di organizzare il coordinamento e la direzione dei servizi di soccorso, di promuovere il volontariato e di pianificare le emergenze per la difesa civile.
La protezione civile si sviluppa lungo quattro direttrici principali: previsione, prevenzione, soccorso e ripristino della normalità.
La vera svolta si ha con la legge n. 225 del 1992, che istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile, con l’obiettivo di “tutelare l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, catastrofi e altri eventi calamitosi”. La struttura della protezione civile viene riorganizzata come un sistema coordinato di competenze, coinvolgendo le amministrazioni statali, le Regioni, le Province, i Comuni, gli enti locali, la comunità scientifica, il volontariato e altre istituzioni, anche private.
Il sistema di protezione civile si basa sul principio di sussidiarietà. La prima risposta a un’emergenza, indipendentemente dalla sua natura e gravità, deve essere fornita a livello locale, partendo dalla struttura comunale, che è l’ente più vicino ai cittadini. Il Sindaco è il primo responsabile della protezione civile e, in caso di emergenza, coordina i soccorsi e assiste la popolazione, organizzando le risorse comunali secondo piani di emergenza predefiniti per affrontare i rischi specifici del territorio. Se l’evento supera le capacità del comune, si attivano i livelli superiori attraverso un’azione integrata: Provincia, Prefettura, Regione e Stato.
Questo complesso sistema di competenze è collegato dalle funzioni di impulso e coordinamento affidate al Presidente del Consiglio dei Ministri, che si avvale del Dipartimento della Protezione Civile.
La legge 225/92 definisce le attività di protezione civile, che comprendono non solo il soccorso e le attività per superare l’emergenza, ma anche la previsione e la prevenzione. Il sistema non si limita quindi a fornire soccorso e assistenza alla popolazione, ma si occupa anche di analizzare le cause delle calamità naturali, identificare i rischi presenti sul territorio e attuare tutte le misure necessarie per evitare o ridurre al minimo i danni.
Gli eventi calamitosi vengono classificati in tre categorie, a seconda della loro estensione e gravità. Per ciascun evento, vengono identificati i livelli competenti di protezione civile che devono attivarsi per primi: a (livello comunale), b (provinciale e regionale) e c (Stato). In caso di eventi di “tipo c”, che richiedono mezzi e poteri straordinari, il coordinamento dei soccorsi è affidato al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può nominare Commissari delegati.
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, delibera lo stato di emergenza, stabilendone durata ed estensione territoriale. Il Presidente ha anche la facoltà di emanare ordinanze di emergenza per prevenire situazioni di pericolo o danni a persone e beni.
Presso il Dipartimento della Protezione Civile vengono istituiti la Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, che fornisce consulenza tecnico-scientifica, e il Comitato Operativo della Protezione Civile. Vengono definite le Componenti e le Strutture Operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile.
Il decreto legislativo n. 112 del 1998, che attua la legge Bassanini, ridefinisce l'organizzazione della protezione civile, trasferendo significative competenze alle autonomie locali, anche in ambito operativo, e apportando una ristrutturazione delle competenze statali residue. La legge di riferimento rimane la 225/92.
La protezione civile è considerata un ambito di competenza mista: le Regioni e gli enti locali sono responsabili di tutte le funzioni, ad eccezione di quelle di “rilievo nazionale del Sistema di Protezione Civile”. Le competenze statali comprendono:
Le Regioni sono incaricate di:
Le Province, a livello provinciale, si occupano delle attività di previsione e prevenzione dei rischi, redigono piani provinciali di emergenza e supervisionano la preparazione dei servizi urgenti da attivare in caso di emergenze (eventi di tipo “b”).
I Comuni, a livello locale, realizzano attività di previsione e prevenzione dei rischi, preparano piani comunali di emergenza, adottano misure per garantire i primi soccorsi e organizzano l'impiego del volontariato di protezione civile.
Il processo di decentramento si conclude con la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale n. 3 del 2001), che per la prima volta menziona esplicitamente la protezione civile, collocandola tra le materie a legislazione concorrente, quindi di competenza regionale, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro. Rimane inalterato il potere di ordinanza del Presidente del Consiglio, mentre viene eliminata la figura del Commissario di Governo.
Con il decreto legislativo n. 300 del 1999, viene creata l'Agenzia di Protezione Civile, che rivoluziona l'intero sistema di protezione civile: al vertice non ci sono più il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, ma il Ministro dell'Interno, con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, e l'Agenzia di Protezione Civile, che assume compiti tecnico-operativi e scientifici. All’Agenzia vengono trasferite le funzioni precedentemente svolte dal Dipartimento della Protezione Civile.
Con l'approvazione della legge n. 401 del 2001, le responsabilità statali in materia di protezione civile vengono trasferite al Presidente del Consiglio. In questo contesto, l'Agenzia di Protezione Civile viene dismessa e il Dipartimento della Protezione Civile viene ripristinato sotto la Presidenza del Consiglio. Le funzioni attribuite al Presidente del Consiglio sono quelle già delineate dalla legge 225/92 e dal D.Lgs 112/98.
Una delle innovazioni più significative introdotte dalla legge 401/2001 è l'inclusione dei “grandi eventi” nel contesto della protezione civile. La dichiarazione di un “grande evento”, analogamente a quanto avviene per lo stato di emergenza, consente l'esercizio del potere di ordinanza.
Un ulteriore sviluppo normativo rilevante è rappresentato dalla legge n. 152 del 2005, che amplia il potere di ordinanza anche per eventi che si verificano all'estero, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza.
Con l'entrata in vigore della legge n. 27 del 24 marzo 2012, viene modificata la disciplina relativa ai grandi eventi, escludendo la loro gestione dalle competenze della Protezione Civile.
La legge 100/2012: Riforma del Servizio Nazionale della Protezione Civile
A vent'anni dalla sua istituzione, il Servizio Nazionale della Protezione Civile subisce una riforma significativa. Il decreto legge n. 59 del 15 maggio 2012, successivamente convertito nella legge n. 100 del 12 luglio 2012, apporta modifiche e integrazioni alla legge n. 225 del 1992, che ha dato origine al Servizio stesso. Le attività della Protezione Civile vengono riportate al nucleo fondamentale di competenze stabilito dalla legge 225/1992, con l'obiettivo di affrontare le calamità e migliorare l'efficacia degli interventi nella gestione delle emergenze. Viene riaffermato il ruolo di indirizzo e coordinamento del Dipartimento della Protezione Civile rispetto alle varie componenti e strutture operative del Servizio Nazionale.
La legge 100/2012 affronta diversi temi cruciali per l'intero sistema, tra cui la classificazione degli eventi calamitosi, le attività di protezione civile, la dichiarazione dello stato di emergenza e il potere di ordinanza.
Le ordinanze necessarie per attuare gli interventi volti a contrastare e superare l'emergenza sono ora emesse dal Capo Dipartimento della Protezione Civile, anziché dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Per la prima volta, la legge definisce anche gli “ambiti di interesse” di tali ordinanze. Quelle emesse entro trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza sono immediatamente efficaci, mentre le ordinanze successive necessitano del consenso del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Viene così abrogata la norma della legge n. 10 del 26 febbraio 2011, che prevedeva un controllo preventivo da parte del Ministero dell’Economia per le ordinanze che comportavano spese.
Altri aspetti rilevanti della legge 100/2012 riguardano le attività di protezione civile. Oltre alle funzioni di “previsione e prevenzione dei rischi” e di “soccorso alle popolazioni”, viene chiarito il concetto di “superamento dell’emergenza”, che include tutte le attività necessarie e urgenti per il “contrasto dell’emergenza” e la “mitigazione del rischio” legato agli eventi calamitosi. Le attività di prevenzione vengono dettagliate, introducendo per la prima volta termini come allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza sulla protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica e organizzazione di esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene strutturato in modo organico, integrando le disposizioni precedenti riguardanti le attività di allertamento.
La legge 100/2012 sottolinea anche il ruolo del Sindaco come autorità comunale in materia di protezione civile, specificando i suoi compiti nelle operazioni di soccorso e assistenza alla popolazione. Una novità significativa è l'obbligo di redigere i piani comunali di emergenza entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, con aggiornamenti periodici.
Altre questioni trattate dalla legge 100/2012, che non modificano direttamente la legge 225/1992, riguardano il trasferimento della proprietà della flotta aerea antincendio dello Stato dal Dipartimento della Protezione Civile (Presidenza del Consiglio) al Dipartimento dei Vigili del Fuoco (Ministero dell’Interno) e la gestione dei grandi eventi, per i quali vengono forniti dettagli relativi alle ultime gestioni commissariali, dopo che la legge n. 27 del 24 marzo 2012 aveva già stabilito che non rientrassero più nelle competenze della protezione civile.
Un anno dopo, la legge n. 119 del 15 ottobre 2013 apporta ulteriori modifiche alla legge 225/1992, intervenendo sulla durata dello stato di emergenza, sugli ambiti di intervento delle ordinanze di protezione civile e sulla definizione delle risorse necessarie per affrontare le emergenze. In particolare, la legge 119/2013 stabilisce che la durata dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni.
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